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Trento, 28 aprile 2011
NUCLEARE:
La presa in giro di Berlusconi

di Marco Boato, già deputato e senatore della Repubblica
da l’Adige di giovedì 28 aprile 2011

Si è creata ad arte molta confusione nell’opinione pubblica in relazione al referendum antinucleare già indetto per domenica 12 e lunedì 13 giugno.

È bene ricapitolare come stanno le cose e cercare di fare chiarezza, al di là della cortina fumogena con cui si sta tentando di annebbiare le idee ai cittadini, per indurli a non partecipare alla consultazione referendaria.

Il 12 e 13 giugno in realtà si celebreranno quattro referendum. Essi riguardano: la questione nucleare, la tutela dell’acqua come bene pubblico contro la sua privatizzazione (due quesiti referendari) e la legge sul legittimo impedimento (in parte già colpita dalla censura della Corte costituzionale).

La scelta più logica e razionale sarebbe stata quella di fissare la data dei referendum in coincidenza con le prossime elezioni amministrative indette per domenica 15 e per il 16 maggio. Questo comporterebbe un risparmio di centinaia di milioni per l’erario (e quindi per i cittadini che pagano le tasse).

Ma il Governo Berlusconi ha rifiutato questa possibilità, indicendo (col ministro dell’Interno, il leghista Maroni) i referendum per l’ultima data utile (in base alla legge sui referendum del 1970), in modo da disincentivare la partecipazione al voto da parte dei cittadini e quindi da impedire il raggiungimento del quorum del 50%, requisito necessario per la validità del pronunciamento popolare.

Che cosa è successo nel frattempo? Si è verificata (ed è tuttora in corso, con conseguenze che dureranno per decenni) la catastrofe nucleare di Fukushima in Giappone, a seguito del terremoto e dello tsunami. Il Giappone non è l’Ucraina (allora Unione sovietica) di Chernobyl, dove si verificò la precedente catastrofe nucleare del 26 aprile 1986 (le cui spaventose conseguenze durano tuttora). La grande maggioranza dei cittadini ha capito – nonostante le patetiche rassicurazioni iniziali – che la questione della sicurezza nucleare riguarda non solo sistemi arretrati, come quello ex-sovietico, ma anche una delle potenze industriali più avanzate del mondo e può quindi a maggior ragione riguardare in futuro anche l’Italia (dove anche la gestione dei rifiuti è un problema, figurarsi la sicurezza nucleare e la gestione delle scorie radioattive, che durano per millenni e per le quali neppure gli Usa hanno ancora trovato una soluzione).

Il tragico messaggio della catastrofe di Fukushima è stato immediatamente capito dalla cancelliera tedesca Angela Merkel, il cui governo ha deciso il blocco immediato di sette centrali e l’accelerazione del processo di dismissione delle altre più recenti, rovesciando la precedente strategia, che puntava al loro prolungamento in vita. E nonostante questa scelta tempestiva e coraggiosa (la Merkel ha dovuto smentire se stessa, ma lo ha fatto), le elezioni subito successive nel Baden-Württemberg hanno segnato una storica débacle della Cdu e dei liberali, con la vittoria dei Grünen e, in misura minore, dei socialdemocratici.

E in Italia? Per settimane si è cercato di minimizzare e di dichiarare che il piano di rilancio del nucleare non avrebbe subìto variazioni, che tutto sarebbe continuato come prima, ridicolizzando anche le dichiarazioni del premio Nobel italiano Carlo Rubbia, che di nucleare ne sa qualcosa di più di Umberto Veronesi (ottimo oncologo, ma non fisico nucleare), messo incautamente a capo dell’Agenzia per la sicurezza. Senonché, come tutti sanno, Berlusconi orienta le sue scelte in base ai sondaggi di opinione. E, nel giro di qualche settimana, i sondaggi in modo uniforme hanno cominciato a rilevare (e rivelare) che era sempre più prevedibile l’ottenimento del quorum di validità per i referendum di giugno, ben oltre il 50% richiesto, e che i «Sì» favorevoli ai quesiti referendari avrebbero di gran lunga superato il 70% dei votanti (soprattutto il quesito antinucleare, ma non solo).

A questo punto il Governo è entrato nel panico: comunque vadano le elezioni amministrative di metà maggio, la prospettiva di una sonora sconfitta referendaria su tutta la linea (nucleare, acqua e legittimo impedimento: tre punti qualificanti della politica governativa) si stava avvicinando paurosamente, soprattutto col traino della questione nucleare, che ha fatto largamente breccia non solo nell’elettorato del centrosinistra, ma anche in larghi settori del centrodestra. La sicurezza e la salute non hanno colore politico e, come si era già verificato nei referendum del 1987 dopo Chernobyl, sono temi molto sentiti e largamente trasversali agli schieramenti politici.

Per evitare, dunque, il referendum antinucleare, il Governo ha improvvisamente inserito, in un decreto legge (il cosiddetto «decreto omnibus») in discussione al Senato, un maxiemendamento col quale vengono abrogate tutte le norme contenute nel quesito referendario, in teoria facendo così venir meno tutta la materia del referendum antinucleare. E questa scelta (finora approvata solo al Senato) è stata a tal punto pubblicizzata e propagandata, che la maggior parte dei cittadini crede già oggi che il referendum non verrà celebrato. Ne ho avuto esperienza diretta il 26 aprile – venticinquesimo anniversario di Chernobyl – distribuendo materiale informativo nel centro di Trento: molti mi hanno chiesto perché lo facessi, visto che il referendum ormai non era più previsto… Potenza della disinformazione sistematica attraverso i messaggi televisivi: una informazione davvero «di regime», mentre nel frattempo è stato persino bloccato il regolamento per le tribune referendarie, che avrebbero dovuto già iniziare (e che comunque riguardano anche l’acqua e il legittimo impedimento, non a caso).

In realtà, il decreto legge che contiene l’emendamento governativo deve ancora essere approvato dalla Camera, poi dovrà essere promulgato dal Presidente della Repubblica (ammesso che non abbia qualche dubbio a firmarlo, visto che si tratta di un espediente per impedire il pronunciamento popolare), quindi dovrà essere pubblicato sulla «Gazzetta ufficiale» e successivamente dovrà essere sottoposto al vaglio dell’Ufficio centrale per i referendum presso la Corte di Cassazione, che è l’unico competente a decidere in materia.

Passeranno dunque ancora alcune settimane – in piena campagna referendaria – per conoscere l’esito di questa decisione, tenendo conto anche che la Cassazione potrebbe investire della questione la stessa Corte costituzionale, la quale in materia di «aggiramento» illegittimo dei quesiti referendari si è già pronunciata con una sentenza fin dal lontano 1978. Non solo. Il testo dell’emendamento governativo non si limita ad abrogare le norme sottoposte a referendum, ma introduce preliminarmente una nuova disposizione, che spiega tutto della «ratio» furbesca di questa operazione, perché rimanda ad «ulteriori evidenze scientifiche» sulla «sicurezza nucleare», allo «sviluppo tecnologico in tale settore» e inoltre alle «decisioni che saranno assunte a livello di Unione europea» (la quale in realtà non ha nessuna competenza sulle scelte nucleari dei singoli Stati). Queste disposizioni dimostrano in modo evidente che, dunque, non c’è affatto un ripensamento governativo in materia di scelte nucleari, ma solo la volontà di aggirare il referendum, espropriando i cittadini del potere costituzionale (art. 75) di decidere, per poi rilanciare la scelta nucleare nella fase successiva. E quindi la Cassazione potrebbe a sua volta decidere di riformulare il quesito referendario, sottoponendo al voto dei cittadini questa nuova norma e non le precedenti, per rispettare comunque – come prevedono la legge e la giurisprudenza costituzionale – la volontà referendaria.

Come se non bastasse la già eloquente lettura dei testi normativi, il 26 aprile (anniversario di Chernobyl!) Berlusconi, nella conferenza stampa con Sarkozy, facendo un autogol clamoroso, ha candidamente dichiarato che l’intenzione del Governo è proprio quella di aggirare il referendum, per poi rilanciare il nucleare: «Noi siamo assolutamente convinti che l’energia nucleare sia il futuro per tutto il mondo». Sarkozy gongolava, pensando ai miliardi di euro italiani per la Edf francese, la Merkel forse un po’ meno. Dunque, il referendum antinucleare è regolarmente indetto (sia pure tardivamente) e pienamente in vigore, nonostante l’emendamento-truffa del Governo. Se e quando questo diventerà legge, sarà la Cassazione (ed eventualmente la Corte costituzionale) a decidere al riguardo, ed è assai arduo immaginare che la Cassazione permetta un simile raggiro sulla pelle di quella «sovranità popolare» tante volte invocata a sproposito e questa volta invece pienamente in causa e da tutelare, salvaguardando il principale istituto di democrazia diretta previsto dalla Costituzione.

Il 21 aprile il ministro Romani – in un intervento a «Radio anch’io» – gongolava per l’operazione furbesca messa in atto («furto con destrezza di referendum», verrebbe da dire) e addirittura ipotizzava una operazione analoga da fare anche per i due quesiti a tutela dell’acqua pubblica. Vista la figuraccia di questi giorni (ieri, sul «Corriere della sera», Romani ha cercato di tamponare la gaffe di Berlusconi), probabilmente questa ulteriore operazione di svuotamento dei referendum rientrerà, ma non è ancora detto. Del resto, l’obbiettivo non ancora dichiarato, ma reale, è di ostacolare in ogni modo che si possa raggiungere il quorum sul legittimo impedimento. Ma saranno i cittadini italiani in ultima istanza a decidere.

Marco Boato
Già deputato e senatore della Repubblica

 

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